Perché la moka si chiama così: la storia della caffettiera più famosa d’Italia

Il cambiamento avviene grazie al piemontese Alfonso Bialetti, proprietario di una fonderia in quel di Crusinallo, vicino a Omegna, sul Lago d’Orta, che produceva semilavorati in alluminio, materiale tra i più utilizzati dell’epoca in quanto leggero, resistente ed economico, impiegato ai tempi del fascismo soprattutto nell’industria bellica e per fabbricare gli aerei. Le leggende su come Bialetti ebbe l’intuizione di sfruttare la pressione generata dal vapore sono varie, anche se la più gettonata vuole sia stata la moglie Ada mentre lavava i panni a ispirarlo. In che modo? Osservandola nell’uso della lisciviatrice, una macchina preposta per fare il bucato prima dell’avvento delle moderne lavatrici: come detersivo si usava la liscivia (un soluzione alcalina ottenuta dalla cenere di legna mescolata con acqua calda), da qui il nome dell’apparecchio. Come funzionava? Ce lo spiega bene la Treccani: “era formata da una vasca di lamiera zincata nella quale si versava prima la liscivia con acqua, poi la biancheria, che si posava su un falso fondo forato; riscaldata con fiamma diretta o con vapore, la liscivia saliva, per effetto dell’aumento di pressione, lungo un tubo centrale da cui ricadeva sulla biancheria, per rifluire successivamente attraverso il fondo, e così via”. Dalla descrizione si

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